"La triste vicenda di Manfred" - racconto

Da quando sono rimasto solo al mondo, trascorro gran parte delle mie giornate tra le mura crepate del cimitero che sorge alle porte di W., la città che m'ha dato i natali e che ha visto strascinar mestamente la mia esistenza. Alla mia vita d'altronde, od a quel che ne residua, non attribuisco più importanza alcuna. Il lavoro, un'occupazione che per altri sarebbe bastante motivo d'orgoglio, le persone che mi stanno accanto, colleghi ovvero ignoti passanti, manichini animati nei quali m'imbatto casualmente per strada, le ore che trascorro fra le mura domestiche, solingo... Di questo non v'è traccia, nella mia memoria, quasi fosse rifiutato. Fin da piccino nutro inoltre un odio profondo, feroce, nei confronti dell'umanità intiera, che i luttuosi accadimenti che mi hanno perseguitato hanno alquanto inasprito. La presenza dei miei simili m'angoscia, la vicinanza, il calore emanato dai loro corpi, la gestualità dozzinale, la trivialità delle parole, la ruvidezza della voce, mi soffocano, m'opprimono.
Giorgina m'ha lasciato, per sempre, circa un anno fa. Se ne è andata, col dolce sorriso ch'increspava appena quelle labbra esangui, un tempo così turgide, con quell'espressione di fermezza, di coraggio indomito, che nemmeno nei momenti più tristi l'abbandonava, dipinto sul volto scavato dalla malattia e dal dolore. Incrollabile ottimista, anche quando le difficoltà apparivan a tal punto soverchianti da indurre al più cupo disfattismo pure uno spirito fiero come il suo, solare, così diversa da me, di natura sì umbratile, così scettico, sembrava quasi s'apprestasse ad un lungo sonno ristoratore.
Invece, s'avviava incontro alla Morte.
Ho voluto che la sua tomba, un austero monumento assai semplice, privo di inutili orpelli, simile a molti altri, sorgesse accanto a quella dei miei cari. Così, allorquando, terminato l'orario d'ufficio, giungo al camposanto, li trovo ivi, appresso, partecipi nel comune, esiziale destino; coloro che più amavo ed amo tuttora, di fronte a me, chiusi nei loro sarcofagi di marmo grigio. Ed accanto a quello di Giorgina, nelle profondità della terra, s'apre un loculo libero. Il mio.
Con la indulgente complicità del custode, un uomo semplice che ben comprende le pene che m'angustiano, colà trascorro intiere giornate e pure le notti, soprattutto in primavera, od in estate, quando il clima più mite consente al mio fisico provato di meglio tollerare la fatica e la spossatezza dell'addiaccio. Attendo che il sole scompaia dietro le punte degli alti cipressi secolari e che le prime ombre della notte s'allunghino tacite su quell'ermo luogo di rimembranza e di pace, ed allor mi distendo sulla lastra che serra la tomba della mia amata, poggiando la testa sulla croce di pietra ch'è posta pressochè al centro di quel freddo rettangolo. Trascorro le ore notturne a mirar le innumeri stelle punteggiar colla loro luce tremolante lo sconfinato firmamento, nella quiete che pervade quel sito, rotta talvolta dal lontano stridio d'un rapace notturno, o dal canto licenzioso del nottambulo. Il tepido zefiro reca alle mie nari l'odor pungente di rose vizze, e quello più acre ancor degli stoppini bruciati, attorno a me ardono lucignoli accesi da coscienze pietose, onde donar luce a quelle sepolture, fiammelle che sono simulacro dell'anima che la Morte ha condotto seco negli sterminati campi del riposo eterno, ov'Ella signoreggia. M'accade talvolta d'osservar il labile guizzare del fuoco fatuo, ove non v'è pietra a ricoprir quegli avelli, ma solo feconda terra ed erba fragrante; la silente nottola, che svolazza insistente attorno al lampione della cappella, m'accompagna nelle mie dolenti cogitazioni, e la nottua, sospinta dalla lieve aura, danzando nella tenebra sfiora colle delicate alucce le mie scarne mani, congiunte sul petto, indi le labbra, il crine scarmigliato...
Allorchè la risorgente alba s'affaccia sul nuovo giorno, io trapasso il cancello, lasciato aperto dal buon uomo, e rincaso. Poscia, dopo essermi rinfrescato ed aver riassettato le vesta, scendo ad acquistar i fiori più profumati e vivaci, e compongo un gran mazzo del più bello degli omaggi che la Natura rende ai nostri sensi immemori, col quale torno a far visita ai miei cari. Non manco mai di poggiar delicatamente una rosa rossa sulla modesta tomba che serba le onorate spoglie di Holofernes e di Cornelia Byddle, i vecchierelli che, quand'ero giuovinetto, osservavo avanzar a stento, incerti sulle gambette ricurve che stoicamente sopportavano il pondo della senilità, sulla via che conduceva al negozio di papà. La loro venuta all'emporio era cagione di grande contento... Holofernes mi narrava di portentosi accadimenti, gloriose vicende che lo videro incontestabile protagonista all'epoca del grande conflitto, quand'era imbarcato su di un vascello ch'era, a suo dire, la gloria e l'orgoglio della Reale Marina. Cornelia, la quale portava sempre una rosa rossa, il suo fiore preferito, appuntata sul grazioso cappellino di paglia che indossava con vezzo civettuolo, sorrideva alle fole del canuto consorte, e non appena lo stupefacente racconto aveva termine, traeva dal borsone che recava sottobraccio, una grande sporta di pelle nera e logora, di modello disusato, deliziosi dolcetti ch'ella stessa preparava, caramelle e balocchi.
Eran sempre carezze e complimenti, ch'io ricevevo da quei venerandi amici che parevan provenire da un favoloso passato remoto, superstiti di chissà quale leggendaria ed onorata genìa. La mamma si sporgeva dal lungo bancone ch'era posto in fondo alla sala, ed offriva ai fedeli ospiti della frutta fresca, o la solita confezione del thè preferito, mentre papà, con un buffetto sulle guance, mi rammentava che era buona norma e dovere d'un giuovine educato esprimere deferente gratitudine pei doni ricevuti. In quelle stanze ingombre di mercanzie la fantasia incorrotta trionfava, vagheggiavo storie di pirati e di principesse, vicende d'imperi e di dinastie. La mamma si muoveva leggera fra quegli scaffali ricolmi servendo con grazia tutti, il facoltoso al pari del poverello. L'asciutta figura del padre emergeva talvolta dal magazzino; curvo sotto il peso di tappeti provenienti da esotiche plaghe, pareva quasi un antico centurione recante sulle spalle il frutto del bottino. La sera, prima che m'addormentassi, egli si sedeva ai piedi del letto, e mi leggeva una fiaba; poi veniva mamma, ed il bacio della buonanotte suggellava un'altra gioiosa giornata.
Ahimè, infanzia perduta... La vita esigette presto il tributo che le spetta. Venne il tempo della scuola; le prevaricazioni dei coetanei, la solitudine forzata, rifugio e fuga da un mondo che già allor deprecavo... Il mio fisico gracile era oggetto delle biasimevoli celie e dei feroci divertimenti degli altri alunni, il mio carattere schivo e melancolico mi condannò all'isolamento. Le frequenti malattie m'indebolivano, solo a prezzo di immani sacrifici, miei e dei genitori afflitti, riuscii a terminar le scuole ed a diplomarmi.
L'insaziabile Morte, coi suoi rostri puntuti, ha strappato dalla mia vita quelle genuine figure amiche... Holofernes e Cornelia s'appartarono colla pudica discrezione che li contraddistingueva, poscia papà e mamma, infin la venerata Giorgina. La conobbi il dì medesimo dell'esequie dei miei genitori, entrambi periti nell'incendio che divorò il negozio ch'essi ancora gestivano, nonostante l'età avanzata, in ... Street. Le ingorde fiamme che consumarono i loro corpi distrussero pure il delubro nel quale erano stati celebrati i riti festevoli della mia fanciullezza, cancellando così per sempre ogni vestigia di quell'epoca gioconda. Sembrava che la fine fosse giunta anche per me, quel cupo meriggio di novembre... Tutto quello ch'avevo di caro al mondo non esisteva più. Invero inaspettata risorse la gioia di vivere, istillata nel mio cuore inaridito dalle traversie dal calore di quello sguardo. Il fosco corso dell'esistenza parve mutare definitivamente. Giorgina ravvivò la tenue fiammella della speme, alimentandola col suo amore. Ci sposammo il mese successivo... Ed accanto a lei nutrii la serenità cha mai avevo provato. Anche sul lavoro, l'effetto di quel cangiamento si rivelò in tutto il suo fulgore. Le giornate non erano sì pesanti come nel passato, osservavo ansioso l'orologio non più per tedio, bensì bramando l'ora del rientro, quando avrei abbracciato la mia amata. Solo a lei eran rivolte le mie attenzioni, ripagate dalla sua dolcezza, dal suo affetto genuino.
Ma il Fato, ineluttabile Legge dell'umano Destino, serbava nei miei confronti ancora dolore e pena. Presto, il male incurabile che crudele minava quel corpo consacrato alla bontà ed alla gioia di vivere si manifestò in tutta la sua nefasta tristizia. La vidi appassire, come un fiorellino di campagna il cui stelo delicato è stato appena reciso dalla fredda lama del falcetto. I suoi capelli che parevano seta divennero sempre più radi e crespi, il colorito roseo ch'ornava le sue gote paffute mutò in pallore cinereo. Illanguidita dagli stenti levava le sue braccia scheletrite a cingermi in una debole stretta, ed allor versavo amare lacrime sul suo seno smagrito. Ma ella non smetteva mai quel suo sorriso, e nei suoi occhi scuri ancora ardeva, caparbia, la bragia della vita. Era ella a rincuorarmi; mi diceva che presto sarebbe guarita, che ci saremmo ancora recati alla spiaggia di..., ameno luogo d'incanto ove trascorremmo la nostra luna di miele, a passeggiare all'imbrunire, accompagnati dall'armonioso canto del leggiadro lusignolo.
Ahi, lasso! Vana speme infondeva ella nel mio cuore afflitto. Un grigio mattin di dicembre, mentre la tormenta infuriava sulla città, i fiocchi di neve mulinavano impazziti nell'aria ed il vento ululava lamentoso nella stufa, ancor giuovine spirò, coll'esile capo posato sul mio petto ansante. E la ponderosa cappa della noia mortale discese sul mio animo, avvolgendolo come un impenetrabile sudario, le tenebrose spire del dolore serrarono il mio spirto sì stremato, ed allor non ho più trovato pace, se non in quegli attimi fugaci che trascorro fra quell'urne.
Quella sera di novembre Manfred varcò il nero portone di ferro battuto del cimitero di W. Celata fra le pieghe del grigio pastrano aveva una leva, che strinse al petto allorchè passò accanto alla casetta ch'ospitava il custode della necropoli. Il buon
vecchio finse di non vederlo, com'era tacitamente convenuto fra i due. Manfred s'avvicinò all'avello che serbava le spoglie dell'adorata moglie. Baciò l'imago che effigiava quella silfide, indi sfiorò colla mano la lapide, come per accarezzarla. Il suo sguardo addolorato trovò nel buio la tomba dei genitori, calde lagrime eruppero presto dagli occhio arrossati e bagnarono il suo volto, scivolando indi sul cappotto e sul ghiaino del vialetto...
Servendosi del ferro ricurvo rimosse la pesante lastra grigia, e si calò all'interno del monumento. Con immane sforzo risistemò il marmo, affinchè alcuno potesse accorgersi della manomissione. Nel tenebrore di quell'angusto sito cercò a tastoni la bara di Giorgina. Riconobbe i fregi ch'ornavano quel legno, ed ancora una volta rivide quel volto esangue posato sul soffice cuscino di seta rosa. S'inginocchiò di fronte al feretro e pregò a lungo, col petto scosso da violenti singulti. Indi si distese nella nicchia ch'era a lui riservata. Di lì osservò il tenue lucore del giorno avanzante filtrar attraverso le fessure, per poi scomparire, incalzato dall'oscurità. Udì lo scalpiccio dei visitatori, le loro preci, le indecenti ciarle delle comari, lo strazio delle vedove e degli orfani. Giacque tutto quel tempo immobile, stretto in quel disagevole incavo, ad attendere quel fatal momento che l'avrebbe sollevato dalle insoffribili afflizioni che l'opprimevano, per recarlo nuovamente, per l'eternità, fra le delicate braccia della sua Giorgina.
Non badai alle sterili e rade parole di circostanza che il solerte ispettore di polizia mi rivolse, con freddezza professionale, accompagnandomi al cimitero, nè alla piccola folla di curiosi che attorniava la tomba scoperchiata. Lì, in quel loculo, v'era il corpo di un uomo, immobile nella rigida fissità della Morte. Il suo sguardo vitreo era rivolto in direzion d'una bara posta dirimpetto. Pareva felice, quel poveretto, come forse mai era stato in vita sua... [Hadrianus - Febbraio 2002]
     
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