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ABRAHAM LEVITAN - Speak, Memory
(Lujo 2008)
Ammetto di non averlo capito subito questo lavoro. Anzi, inizialmente non mi era proprio piaciuto. Gli ho dato tempo, l’ho ascoltato più volte e ora devo dire che mi piace. Abraham Levitan, cantante e tastierista di Chicago, si diverte ad utilizzare una quantità sterminata di linguaggi musicali spiazzando ad ogni inizio brano. Linguaggi attuali e meno attuali, miscelati insieme con grande freschezza e spontaneità.
Weekend at home l’ho confusa per la solita paccottiglia elettro-dance sentita più e più volte, ma nel contesto generale introduce perfettamente il disco, e non è affatto male.
If It Bleeds, Pt. 1 gioca con l’hip hop (che io parli di certi generi musicali sembra strano pure a me) come in passato lo fece, con risultati più o meno fortunati, l’eccentrico Beck. Vira poi verso un pop/soul molto orecchiabile e si chiude con un organo ‘sixties’.
La sonnolenta e vagamente trip hop Sarah fonde un malinconico motivo di violino con un canto soul, il tutto frullato in un’atmosfera da film noir.
Slave to Efficiency è un groviglio ingarbugliato di suoni della durata di due minuti che stronca perfettamente l’atmosfera onirica del brano precedente. Non chiediamo ad Abraham coerenza, logicità e uniformità, non sono aggettivi che si adattano alla sua musica.
Bad Weather è una ballata che, da profano del genere, mi ricorda molto lo stile del miscelatore per eccellenza, Prince. Tuttavia la logicità si perde all’interno del brano stesso, non più solo tra un brano e l’altro. La delicata ballata soul, sempre pericolante, diventa un informe suono di chitarra su cui si appoggia un frammento del dolce canto femminile che prima era l’essenza stessa della canzone. Abraham ci insegna come frullare un duetto per voce maschile e femminile per poi farlo colare sulle pareti della sua stanza prove.
Violator è una breve e struggente ballata per canto, tastiera e riverberi di sottofondo. Semplicemente bella.
Neppure il tempo di soffiarsi il naso e di asciugarsi le lacrime che si rientra nel caotico mondo di Abraham Levitan con Please me, nel quale si fa accompagnare al canto da Snokilla, cantante dal vibrato strepitoso, lasciato in sottofondo. L’incedere è pigro e lento, sorretto da una chitarra ruvida e da una batteria pesante. Più ci si allontana dai brani iniziali dell’album e più il termine ‘easy’ perde di significato.
Chiude Little Helicopters, tenera ballata costruita con pochissimi elementi, Abraham Levitan in versione più intima e meno intricata.
Un lavoro davvero divertente. Se MTV e l’industria discografica fosse un po’ meno ottusa potrebbe investire su musicisti come questo.