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DEATH IN JUNE - The Rule of Thirds
(NER 2008)
Annegare una rosa. Vi ricorda qualcosa? Ci avete mai provato? Nel senso materiale della cosa intendo, L'atto in se. Bene. Ma un passo indietro. Prima di tutto c'è il terreno (Crisis). Arido o fertile che sia. Che accoglie le radici del roseto. Il roseto nutrendosi dal terreno cresce (DIJ Mk1). Crescono gli steli, e con loro i boccioli e le spine. Verde intenso. Le rose sono tre, che chiameremo Patrick, Tony e Douglas. Tre steli separati. Che stanno cominciando a fiorire, poco prima di venire recisi. Lì, individualmente, vengono prima messi in un vaso di vetro con acqua cristallina, poi ripiantati nel terreno. Chissà se prendono o meno. Una delle tre ha preso, ma è appassita presto, perdendo i suoi colori e la sua forza. E' la rosa Patrick (Six Comm, Sixth Comm, Mother Destruction...). Un'altra cresce bene, cambia forma più volte, sino a diventare una bella rosa essiccata. E' la rosa Tony. Non regala più profumo, non dona più gioia allo sguardo, ma si mantiene a lungo e ci fa compagnia. La terza rosa, invece, è stata la più complessa. E' cresciuta in maniera splendida, spesso aiutata da giardinieri eccellenti (vedi David Tibet), e per molti anni era la regina del roseto. Verso la metà degli anni '90, dopo un peridodo di massimo splendore, perse qualche petalo (Rose Clouds of Holocaust), ma riuscì ad allungare le sue radici fino ad intrecciarle con quelle di altre rose di altri roseti (Boyd Rice, Albin Julius) e per qualche anno, pur non essendo più la regina incontrastata, era sempre un piacere vederla. Poi, il declino. La rosa fu affogata. O meglio, decise di affogarsi. E sott'acqua non si capiva bene cosa succedesse, era tutto confuso, approssimativo...i richiami alla sua bellezza passata c'erano. ma erano ricordi, probabilmente (miriadi di compilations e live). Poi l'acqua è svanita. Ma invece di seccare, la rosa, sola, è marcita. Ecco com'è oggi. La sagoma è la stessa, ma non è più sinuosa. E' fradicia. Non trasmette più nulla. Clinicamente morta. Perchè vi racconto questo? Così. Cercavo di capire tra me e me come siamo arrivati a questo punto. Non mi andava di stroncare il nuovo lavoro di Douglas P. Perlomeno non gratuitamente. Ma la tentazione era forte, dato che tredici traccie di chitarrina monotona, ripetitiva e non ispirata son dure da mandare giù. La voce è sempre splendida, ma non basta a salvare un lavoro dalla mediocrità. Non c'è un pezzo uno che mi vada di risentire, dopo aver fatto girare per tre volte il cd nel lettore. E sia chiaro, non è perchè i DIJ son cambiati. Solo sono rimasti troppo uguali a se stessi, perdendo qualsiasi gusto per il nuovo e per il bello. Son canzoni che Douglas potrebbe tranquillamente scrivere e suonare per se davanti ad un camino. Da solo però. Se la fascinazione per l'isolamento ha accompagnato da sempre le tematiche dei DIJ, questo The Rule of Thirds non poteva cogliere meglio il punto finale. E' musica chiusa. Ermetica. Tediante, in alcune parti. D'altra parte non mi aspettavo molto. A molti basta un pezzo azzeccato per entrare nella leggenda della musica. DIJ hanno regalato album interi ai posteri, da ascoltare, riascoltare ed amare. Ora la benzina è finita. E capisco che l'idea di mettere la macchina in garage non sia facilmente digeribile. E capisco pure che per qualcuno, comunque sia, meglio una macchina così immobile che una schifezza in movimento. Ma sarebbe ingiusto dire che questo è un buon album. Fate vobis.