"Il lato oscuro del tuo videoregistratore, prima parte" a cura di Psychodave | ||
Benvenuti, nottambuli movie-junkies e sofisticati aspiranti intellettuali dark feticisti della settima arte, questa rubrica è dedicata proprio a voi nella speranza di placare almeno momentaneamente la vostra sete di videodepravazioni e di pure (pseudo-contro) cultura cinematografica. Considerate questa mia nicchia che mi sono scavato all'interno della fanzine come un calderone in cui troverete di tutto, ogni sfaccettatura possibile del vostro/nostro mondo di celluloide che stuzzichi il vostro "lato oscuro" (siamo pur sempre una fanzine dark, no?), quello che spaventa e inorridisce le vostre sorelline che assegnerebbero un Oscar a Di Caprio. Vi condurrò per mano attraverso itinerari spesso battuti da pochi in cui troverete chi di espressionismo tedesco, dark ladies di 100 anni fa, subcultura anni '80, trash movies, avanguardie, misconosciute icone filmiche degne di assurgere al ruolo di cult, e quant'altro... Per cominciare, legioni di vampiretti che leggete queste pagine, vi parlerò del nostro padre spirituale, colui senza il quale il cinema di vampiri oggi non sarebbe lo stesso, e, forse, nemmeno esisterebbe (e voi, acerbe, romantiche darkettine sognatrici non potreste ammirare l'affascinante plasticità di Brad Pitt in "Intervista col Vampiro"). | ||
Sto parlando di NOSFERATU, girato in Germania da Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922, prodotto dalla Prana Film. Nella storia (preistorica?) del cinema, Murnau è di seminale importanza, al livello di un Fritz Lang, autore del capolavoro Metropolis. La figura del conte Orlock (nell'edizione italiana dozzinalmente chiamato "Dracula") è ispirata allo stesso Dracula, ed è considerabile la prima, vera apparizione dell'icona del Vampiro al cinema. "Dracula" di Brian Stoker venne editato nel 1899 (tra l'altro anno di nascita di Alfred Hitchcock, autore anch'egli imprescindibile per i genuini appassionati del brivido e per gli studiosi di pure tecnica cinematografica), ed il film di Murnau è però dissimile a livello narrativo, pare per problemi di diritti d'autore. Dracula infatti, come è bene per ogni cucciolo di ematofago dell'ultima ora scopertosi tale grazie ai Cradle of Filth ed ai London After Midnight sappia, è un romanzo epistolare, laddove il regista Murnau adotta invece una narrazione lineare e progressiva. Murnau, prendendo le distanze anche in questo dal sommo Stoker -che ambientò buona parte del suo Dracula tra le nebbie di Londra-, situa la storia nella "sua" Germania, in un milieu altoborghese tipicamente Biedermeier. | ||
Il film è retrodatato rispetto al romanzo, essendo ambientato alla metà dell' 800. Murnau (si confronti con il suo "la testa di Giano", ispirato a Jekill & Hyde), è interessato morbosamente al tema del doppio, ed al rapporto vittima-carnefice, e quest'opera è stata lungamente e ripetutamente sottoposta a numerose riletture ed interpretazioni, che sconfinavano nella psicanalisi. Ma cominciamo dalla trama che vede Hutter (=Harker), un venditore di terreni, abbandonare l'amata Germania in un rassicurante ambiente borghese tutto tendine e animali domestici onde recarsi in Transilvania per stringere un affare con il conte Orlock. Hutter è eccitato da questa idea. Viene indotto ad intraprendere questo viaggio da quello che scopriremo essere un discepolo del conte (l'attore Alexander Cranach, qui la risposta al "renfield" di Dracula. Negli anni '70 si amava interpretare "Nosferatu" come un viaggio-itinerario dell'uomo all'interno di se stesso. | ||
La Transilvania come luogo della trasgressione, quindi, e Hutter che attraversa a cavallo (animale simbolo dell'indomito istinto naturale e selvaggio), il ponte visto come metafora della regressione nell'ES, per dirla con Freud, fuggendo dalla borghesia/superego. Il critico Siegfried Kracauer vedeva in Nosferatu la premonizione, tra terrore e anelito, dell'avvento di Hitler e del nazionalsocialismo in Germania: come Hitler, infatti, Nosferatu ha il compito di dominare il mondo, non vive chiuso nella sua bara, vuole espandere il proprio potere, "vampirizzare" il mondo, come in un oscuro presagio del pangermanesimo. Tutta la seconda parte del film vede Hutter, dopo un viaggio nella Transilvania/pura sensazione-pulsioni originarie che spaventano e attraggono l'Hutter uomo, fare ritorno a casa, alla normalità dopo aver però conosciuto un universo così terrificante e per questo perversamente magnetico. In contemporanea c'è l'arrivo del vampiro, il quale approda nella stessa città. Nel vascello i marinai sono morti, i topi che il vampiro ha condotto con se espandono la peste in città, dando luogo ad una nefasta epidemia (forte metafora sociopolitica). Dai gattini di casa Hutter, fino ai cavalli, ai topi, gli animali hanno una calcata valenza simbolica, fino al gallo finale, emissario del giorno in cui il vampiro si dissolve. La donna, la moglie di Hutter, è la vera avversaria del vampiro. Passa la notte con lui facendogli dimenticare l'approssimarsi dell'alba. Anche la donna ha la sua "doppiezza": è sonnambula, sensitiva, psichicamente adatta ad affrontare una forza non razionalizzabile illuministicamente come quella di Orlock. La donna che si immola salvando il suo uomo e, per estensione, il mondo intero è un tema tipicamente romantico. In Murnau non c'è l'idea del soprannaturale: Nosferatu non appartiene ad un altro mondo, la mostruosità è dentro la natura stessa, fatto dimostrato dallo scienziato (=Van Helsing) che dimostra di fronte agli studenti in un'aula magna la mostruosità intrinseca ed ineliminabile. Il film si traduce, dal punto di vista visivo, in scelte diverse da un "Dottor Caligari" in cui il mondo interiore si esprime attraverso uno spazio filmico/fisico espressionista: Murnau gira en plein air, sui monti cecoslovacchi a Wiesmar, il fantastico vi è contenuto a livello fotografico, non scenografico (come in Méliés). Il Vampiro di Brian Stoker avrà successo con "Dracula" del 1931 di Tod Browning, ma sarà molto diverso dal Nosferatu di Murnau, per il fascino magnetico ed eroticamente perverso del sommo Bela Lugosi (e di Christopher Lee nella fondamentale pellicola Hammer diretta da Terence Fisher), che conferisce al suo aristocratico Dracula tratti da gentiluomo seduttore dalla carica sessuale, il quale attrae le sue vittime a differenza di Nosferatu che le ripugnava (oltretutto, Dracula ha i canini -evidente sostituzione del pene nell'atto del penetrare/possedere le vittime- nascosti, mentre il mostro di Murnau ha la Del film verrà girato un remake nel 1978 de Wagner Herzog, interessato qui al tema del limite (della natura, di un personaggio...) e della diversità (si veda "Aguirre furore di Dio", sempre con Klaus Kinski che qui si impegna nel difficile ruolo del conte Horlock). Kinski/Nosferatu è qui un personaggio patetico, emblema del diverso, da compatire, non orribile come nella versione originale o "charmant" come Lugosi e Lee, ma quasi tenero nel suo soffrire della sua condizione. Si esalta la solitudine di chi non riesce a morire, la tragica, gotica bellezza della diversità. Lodevole anche la spettrale eterea recitazione della splendida Isabelle Adjani nei panni della protagonista/vittima consenziente. Alcune curiosità: la vedova Stoker, si dice, vinse comunque la causa legale contro Murnau relegando per anni la pellicola nel dimenticatoio e conferendole lo status di film maledetto. Si narra che Max Schreck (=Max Terrore), l'attore che nel '22 impersonava il Conte, fosse in realtà lo stesso Murnau coperto da uno pseudonimo e da un pesante trucco.sua arma addirittura negli incisivi!). | ||
"Il lato oscuro del tuo videoregistratore, seconda parte" a cura di Psychodave |
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Bentornati nel mio Videoboudoir, otaku della celluloide tinta di nero e cinefili fotofobi del dopo-mezzanotte... Mi rivolgo a voi, aspiranti vampiri della domenica che avete il coraggio di immedesimarvi in orgasmi neoromantici con Celine Cecilia Angel dei Sanguis et Cinis sul freddo marmo delle lapidi di un cimitero, che dareste un figlio a Vibeke Stene dei Tristania di cui adorate le rotondità e che vi perdereste nei freddi, giovano occhi di Tarja dei Nightwish... od anche a voi più grandicelli che credete che sia stata la vostra Siouxsie ad inventare, venti e più anni or sono, lo stereotipo di attraente vampira esangue. Voi che non avete il coraggio di avvicinare quella deliziosa "cadaverina" che spiate furtivi alle serate dark dei locali di cui siete immancabilmente la tappezzeria, forse ignorate che quella dolce tortura che si risolve in un crescendo direttamente proporzionale di dissennata attrazione e glaciale terrore ha avuto espressione in campo cinematografico in epoche oggi remote, incarnandosi in splendide donne alle quali neppure il più gagliardo Casanova avrebbe potuto opporre resistenza; sensuali mantidi che inventarono quello che oggi è conosciuto come "Dark Look" muliebre che oggi tanto ci eccita in tempi lontani in cui di Robert Smith, Rozz Williams e Ian Curtis non erano nate neppure le bisnonne, e il look della quali è ancora oggi -spesso inconsapevolmente- emulato, da Gitane Demone alla classica sedicenne "esclusa" di ogni liceo che si trucca sempre di nero e si agghinda di croci. | ||
Correva l'anno 1914 quando, nella nota "Hollywood Babilonia" che ha ospitato le perversioni di geni come David Wark Griffith o di buffoni violenti come "Fatty" Arbuckle -che torturò fino alla morte una giovane starlette del muto-, iniziò a far parlare di se una certa THEDA BARA, tenebrosa giovane pseudoaristocratica dai profondi occhioni sempre cerchiati di nero, dall'oscuro passato speso a cibarsi di rettili come uomini fra non meglio precisate tribù esotiche. Ovviamente questa era una riuscita trovata di uno scaltro ufficio stampa, perché la nostra Theda Bara (nata Theodosia De Coppet e avente come pseudonimo l'anagramma di "arab Death" (morte arabica), era in realtà una pasciuta giovanotta dell'Ohio, anche se alcune fonti la vogliono presbite e grassoccia ragazza italiana (!!). Con il film "A Fool There Was", del suo scopritore/pigmalione Frank J. Powell (in cui Theda si produce in un -per i tempi- provocatorio, erotico bacio con un |
amante), ispirato ad una poesia vampirica di Rudyard Kipling, il mondo saluta, innamorato e tremante di paura, la prima "Vamp" (termine sincopato di ovvia derivazione) del cinema, manipolatrice e distruttrice di anime mascoline. Le "Femmes Fatales" imperversano nel subconscio maschile dell'alba dei tempi (forse per un inconscio senso di colpa/terrore per una rivoluzione della femmina allo storico "regime" maschilista), e da allora per le dark ladies ci fu posto anche nell'immaginario collettivo di celluloide. Da qui in poi esse spopoleranno nel thriller-noir, ma avranno echi anche in innumerevoli altri filoni (da Mae West, a Greta Garbo, alla Vampira di Ed Wood alle Vampyros Lesbos di Jess Franco, alla Varla/Tura Satana di Russ Meyer, si contano migliaia di adorabili torturatrici di misogini e superiori avversarie della fallocrazia) passando attraverso molti setacci e trasformazioni, incarnando però costantemente la paura del maschio dominante di veder vacillare il proprio trono a causa di donne neoemancipate che si vendicano dopo anni di insensata subordinazione, colpendo l'uomo dove più è vulnerabile: l'eccitazione sessuale, e più esse sono algide più il maschio soccombe, e più le amerà alla follia. La stessa figura della Vamp cinematografica è quindi figlia di questo immaginario maschile. La loro autonomia e la loro selvaggia, pericolosa, sensuale autosufficienza le hanno spesso trasformate in donne animale, la stessa Theda Bara ha interpretato "The Tiger Woman", "The She-devil", oltre all'immortale "Cleopatra", tappa quasi obbligata per ogni bellissima che l'uomo deve aver paura ad amare (Liz Taylor in primis, ma questo è tutto un altro contesto...). Purtroppo per lei il pubblico non le ha permesso di dimostrare la sua (presunta) validità drammatica lontano da scheletri, candele, drappi e pizzi neri, e goffi echi di maledizioni egizie. In questo fu antesignana del sommo Bela Lugosi, che è morto (che brivido ogni volta che Peter Murphy me lo ricorda) avvolto nel suo mantello di Dracula, ormai vecchi e morfinomane, maniacalmente immedesimato nel suo bel vampiro, pur avendo lavorato anche col già citato padre della trash-sci/fi Ed Wood. La bella (malgrado i nostri canoni di bellezza siano ormai irriconoscibilmente mutati rispetto agli anni '10) "Theda" chiuse definitivamente i suoi neri occhioni nel 1955, moglie del regista Charles Brabin, che, evidentemente, era riuscito a catturare la più crudele, indomabile, sensuale (e teneramente ingenua belva che il cinema ricordi). | ||
Ma non fu l'unica Vamp della sua epoca: in Europa si faceva strada la famosa MUSIDORA, ovvero la francese Jeanne Roques. A differenza della sua americana collega, ella era più intellettuale (regista, attrice teatrale, poetessa e frequentatrice dei più rinomati salotti chic) e trasse il nome da una poesia di Théophile Gautier. Musidora passerà alla storia come Irma Vep (anagramma di "Vampire") protagonista di un miniserial, diretto nel 1915 da Louis Feuillade, dal titolo "Les Vampires". Stretta da un'aderentissima calzamaglia -quasi pre-fetish- che la accomuna al nostrano e attuale Diabolik ed al cliché di villain-eroe in calzamaglia, era una perfetta dark lady-acrobata a capo di un'organizzazione criminale | ||
chiamata "I Vampiri" (sic!). Antieroina parigina per eccellenza, la sua Irma Vep gestiva questa autentica setta in un'atmosfera sorprendentemente gotica e brumosa. Musidora sarà amata dai surrealisti (Andrè Breton in primis) che ne fanno quasi una musa. Certo la "Bara" e la "Vep" (sic!) non erano vampire tout-court: non c'è traccia di emofilia nelle loro pellicole, ma la figura della donna giovane ma senza tempo, saggia e al tempo stesso crudele e spregiudicata, nerovestita, dalle profonde occhiate e dal pallore marmoreo cadaverico era l'ideale femminile venerato dai decadenti del periodo. Se Theda Bara e Musidora erano abbondanti nelle forme come l'allora vigente canone estetico femminile imponeva, una ragazza bellissima di una bellezza malinconica e ancora attuale, ma slanciata, longilinea e dalla sfuggente, aristocratica fisicità si impose (per breve tempo ma assai incisivamente) all'attenzione del pubblico del periodo immediatamente successivo: LOUISE BROOKS. Notata dal regista G.W. Pabst nel 1929, questa fine danzatrice delle Zigfield Follies di N.Y. girò con lui "Lulù", in Germania. Di diverso dalle 2 Vamp sopraccitate, la Brooks aveva la dolcezza. Il viso trasognato e sofisticato, ma innocente, la differenziava da una Theda Bara/donna tigre o da una Musidora/criminale "vampira", rendendola una creatura che si serviva del sesso maschile spesso distruggendolo solo perché era la sua natura a richiederlo, oppure le circostanze. Il suo taglio di capelli molto anni '20-'30 (Lulù risale al 1929) le ha conferito una particolarità che le è tutt'oggi riconosciuta. La sua breve carriera precipitò dopo un altro paio di pellicole -di cui "Il Diario di una Donna Perduta" ancora diretto da Pabst- nella volgarità dei pettegolezzi del pubblico intorno ad una sua presunta tendenza all'amor saffico. Ovviamente tutto questo destò gran scandalo nella puritana America dell'epoca. Per avere una vera vampira dello schermo bisognerà attendere il 1935, anno in cui un Bela Lugosi ancora all'apice del suo successo recluterà al suo fianco CARROL BORLAND nel ruolo di una bellissima succhiasangue, Luna (a cui si ispirò anche Charles Addams, molti anni dopo, per il personaggio di Morticia per il film "I Vampiri di Praga", peraltro diretto da Tod Browning. I suoi lunghi capelli neri e la sua tunica bianca, che la incorniciano mentre si aggira tra le ragnatele del suo maniero, hanno inaugurato la immortale figura della "Vampiressa" (!). Si dice che Lugosi e la Borland fossero amanti, ma questo potrebbe essere il parto di un ufficio stampa consapevole che i piccanti retroscena catalizzano l'attenzione del pubblico, e, se non ci sono, è opportuno inventarli. |
Nel 1936 GLORIA HOLDEN, ventisettenne inglese, veste i panni della figlia di Dracula ne film "Dracula's Daughter". Su di lei e sulla Borland, più che il gusto decadente o la figura della "femme fatale", influirono la letteratura gotica e le severe figure muliebri preraffaellite. Qui la Holden si cala nei panni della contessa Zaleska, figura che unisce vampirismo e lesbismo prima di chiunque altra, vivendoli però come deformazioni comportamentali incontrollabili, tormenti da cui vuole essere salvata. Intanto, però, si nutre dei litri di emoglobina che sgorgano dalle giugulari di avvenenti ragazze..... Un consiglio per i collezionisti di pellicole originali e genuinamente insolite: procuratevi il recente film francese " Irma Vep", in cui una carinissima Maggie Cheung deve | ||
entrare nel ruolo che un tempo fu di Musidora nel remake di "Les Vampires" ad opera di un nevrotico regista francese. Qui la versione attualizzata di Irma Vep che la Cheung si trova a dover interpretare somiglia piuttosto alla Catwoman di Batmaniana memoria, stretta com'è in luccicanti completini sadomaso in vinile e cuoio nero! | ||
"Il lato oscuro del tuo videoregistratore, terza ed ultima parte" a cura di Psychodave | ||
Sentite condoglianze a tutti Voi, schiere di neoromantici esistenzialisti... Finora abbiamo esplorato, per quanto ci fosse stato possibile, gli albori del Dark Look, in quegli anni '10/'20 dominati da figure quali il Nosferatu di Murnau/Max Schreck; in quell'epoca, che oggi ci appare sì scura e remota, in cui le donne erano inquietanti, splendide fanciulle gotiche senza saperlo in tempi non sopsetti in cui il Charleston andava per la maggiore ed il termine "Bauhaus" era noto al mondo solo come scuola di architettura, fiore all'occhiello del Razionalismo tedesco (anzi, neanche, se consideriamo che il Bauhaus fu fondato da Weimar dall'architetto/designer Walter Gropius nel 1919, mentre il primo reperto su pellicola di Theda Bara risale addirittura al '14!). Tuttavia mi sento di effettuare un abissale salto spazio-temporale, spostando la Vostra attenzione verso tutto un altro milieu. Chiudete gli occhi. Ci troviamo in Italia, nei favolosi (sic!) anni '80, retroterra subculturale di tutti noi. Per le strade di Milano, Roma, Genova si aggirano Punk delusi Neoadepti della New Wave acconciati alla Sigue Sigue Sputnik, panozzi in Timberland che tracannano Coca Cola sgasata nei vari Burghs a caccia di "sfitinzie" preppies; e c'è almeno un(a) Dark per ogni liceo che si rispetti, magari assiduo/a frequentatore/trice di rinomate boutiques come l'indimenticabile "Inferno e Suicidio". Ah, com'erano piacevolmente superficiali e plastificati quei giorni! Ma non è di queste mode provenienti (per lo più) dal Regno Unito, e di cui noi abbiamo vissuto solo una lontana, distorta, maccheronizzata eco di cui voglio disquisire: mai mi permetterei in questa sede di salire in cattedra pretendendo di insegnare a Voi questi autentici stralci di pura Storia del Costume, e quindi si Sociologia. L'aspetto su cui voglio far luce (o elektro-luce, citando "Wish" di Stefano Gatti e della nostra-vostra Elise) è il modo in cui la nostra cara, vecchia Italietta ha inglobato questi fenomeni, il modo in cui i "Grandi" hanno sottilmente ridotto questo fervore stilistico in parodia tutta italiana, agendo però, una volta tanto, con verve ed evitando di mancare rispetto, partorendo così personaggi caricaturistici che sconfinano spesso nel pecoreccio, si, ma anche -e, ammettiamolo, soprattutto- genuinamente divertenti. Sto parlando di ENZO BRASCHI e NICOLETTA ELMI, due figli dell'attitudine italianissima di non prendere quasi mai sul serio, ma (questa volta) simpaticamente, ogni guizzo autonomo di una gioventù che (allora) iniziava ad avere serie crisi di identità. Che dire infatti di Enzo Braschi, l'indimenticabile attore comico che faceva capolino in quella gabbia di matti -inconsapevole cenacolo controculturale e fotografia di un'epoca- che fu il Drive-in?! Di volta in volta calato nei panni del paninaro che si esprime con soli tormentoni e pseudoslogan (era avanti di almeno 10 anni, ditelo ai vari Aldo, Giovanni e Giacomo!), di dark dell'ultima ora che si improvvisa depresso per "cuccare" nei locali del settore, di "ramboso" che sfrutta l'allora recente boom del body-building per trovare una ragione d'essere, di yuppie "cucador professionista", Braschi ha incarnato i mille stereotipi tra i quali si aggirava confusa la gioventù italiana, orfana di una contestazione settantina vissuta dai fratelli maggiori, e ormai così lontana da quell'epoca in cui si era tutti uguali di fronte ad un calcio Balilla e si veniva mandati a calci in chiesa con le braghe corte. Lui impersona il Giovane (pur avendo, all'epoca, qualcosa come 35 anni) che si rivolge, spaesato, ai milioni di sottogeneri, di sfumature, di ideologie usa-e-getta, tra le quali è riconoscibile la superficiale imitazione del dark-rocker alla ricerca di una sfera sociale a cui appartenere, del sentirsi parte di un tutto, di uno -o più- dei nuovi gruppi/comunità umane che sorgono proprio col boom economico registrato in Italia negli anni '80, in cui fame e politica a tutti i costi cedono il posto ad un tempo libero da riempire assolutamente con ogni immedesimazione modaiola esterofila, pena l'esclusione sociale (o, per citare il suo "paninaro", la "Compilation di schiaffazzi!!!") Esemplare il suo cavallo di battaglia/paninaro camuffato da dark ("E' che mi hanno detto che per cuccare nuove sfitinzie devi entrare nel giro dei dark! Ueh, ragazzi, funge, funge!"), il quale non esitava, da un giorno all'altro, a vestirsi completamente di nero ("Spolverino di lanazza..."), a impallidire ("Dieta a base di zabaione con bianco d'uovo, fiale di ricottina da nebulizzarsi, acqua delle mozzarelle con cui ubriacarsi la sera") e, addirittura, ad attrezzarsi la casa da dark (" Un bel 'monoloculo' con catafalco a due piazze, comodini di marmo, cella frigorifera e gabbia con pipistrello"). Questo "coatto", per esprimersi con un termine di cui oggi si abusa, frequenta il locale "Globulo Bianco" (sic!), legge necrologi, beve granite senza niente (!!!), tutto questo per "fare" il dark, ovvero inserire la sua persona in un qualsiasi contesto sociale che da quando gli italiani hanno tutti due pasti al giorni (come minimo) sulla tavola, è diventato imprescindibile. Adotta tecniche di approccio con l'altro sesso come l'avvicinarsi e sussurrare alla nostrana darkettina di turno: "Sei trooooppo scarsa, mi piaci un pozzo nero!"; arriva persino a "tacchinare" una suora scambiandola per una dark, e così via, amenità a cui si abbassa. lui virtualmente anonimo e tranquillo, pur di sentirsi "qualcuno" in un'Italia che sta cambiando. Ma di tutto questo si ride, e di gran gusto. Un'altra icona gotica-demenziale della nostra infanzia è la deliziosa "Benedetta", il lato oscuro de "I ragazzi della terza C", ormai (prei)storico serial televisivo (ma chiamiamolo 'telefilm' come hai vecchi tempi!), interpretata dalla giovane Nicoletta Elmi (attrice che ricordiamo bambina in 'Il Mostro è in Tavola, Barone Frankenstein' di Paul Morrissey e con Joe Dallesandro, mostri sacri del Trash a stelle e strisce anni '70 al apri del sommo vate John Waters e cresciuti alla corte di Andy Warhol; e, più grandicella, nel 'Demoni' di Lamberto Bava, nel ruolo di una sexissima ma ambigua e spettrale maschera di un cinema maledetto). Costei è una liceale di Roma, pretesto per osservare in che modo gli "adulti" di allora (tra i quali, sicuramente, registi e sceneggiatori del telefilm) guardassero dall'alto e dipingessero con tinte caricaturali, grossolane, ma paterne, la figura della ragazza dark. A differenza di un Braschi, lei crede sul serio in ciò che fa e che è: veste costantemente di nero, porta occhiali scuri e guanti neri, ma più per se stessa che per appartenere ad una comitiva; i suoi compagni di classe sono per lo più ragazzi qualunque, o al limite pseudo-panozzi non estremi, ma in quel mosaico lei è (piuttosto) inserita, e controbilancia perfettamente l'ottimismo e la goliardia di un Lazzaretti (Fabio Ferrari) o la goffaggine di un Bruno Sacchi (Fabrizio Bracconeri). Di curioso c'è che, pur essendo lei inconfondibilmente dark, intorno alla sua figura di musicanon si fa menzione: i suoi interessi sono la poesia (tenera quando recita i suoi componimenti ad una scalcinata manifestazione e poi scopre che il suo poeta preferito, Ramon.qualcosa, ronfa della grossa, o quando ne declama uno il giorno di Natale a casa dei "burini" Sacchi per poi sentirsi rispondere: "Carino, ma annava mejo er due novembre!"), la cartomanzia, l'astrologia e, soprattutto, il cinema coreano (!!) (memorabile l'episodio in cui decide di girare un film, ma, non potendo ricreare nel paese dell'amatriciana e della Curva Sud l'atmosfera di una pellicola coreana, si dedica, ovviamente, all'Horror, che poi scadrà irrimediabilmente nel tragicomico). Pessimista, angosciata, depressa, femminista, vegetariana (in un episodio dichiara di fare colazione con "patè di semi di crisantemo" (sic!)), intellettualoide, salutista, artista eccentrica e pedante fino al parossismo, "Benedetta" porta all'estremo gli aspetti tipici della fanciulla gothic-esistenzialista; un esempio per tutti: nell'episodio in cui è incaricata di dissuadere il tenero ciccione Sacchi dal suicidarsi per amore, poi lei, dark e negativa, finisce per lodare, enfatizzare e consigliargli quel gesto estremo. Certo, è impossibile prendere sul serio il suo personaggio: la recitazione (per nulla malvagia, se consideriamo la media veramente bassa delle potenzialità recitative dei suoi colleghi del telefilm, ma volutamente buffa, esagerata e da vignetta comica) ed il contesto stesso lo impediscono, ma i suoi lunghissimi, stupendi capelli castani ed il viso scheletrico. certo molto bello ma anche severo ed inquietante, ricordano a tutti noi che, a volte, della nostra attitudine oscura e decadente si può anche ridere con intelligente autoironia. Pensateci la prossima volta che vi concerete da prefiche atteggiandovi a seriose intellettuali... Laddove foste interessati a procurarvi materiale riguardante i due simpatici figuri di cui sopra, dovreste attendere che le reti Mediaset trasmettano, rigorosamente nelle fascia oraria del dopo-mezzanotte, repliche del geniale "Drive-in" e de "I Ragazzi della Terza C", oppure procurarvi una copia di "demoni" o di "Il Mostro è in Tavola...". Particolarmente consigliato è il fil "Italian Fast food" di Lodovico Gasparini, in cui un Enzo Braschi/paninaro a capo di una compagnia che ha il suo luogo di ritrovo in un fast food, non ha niente di meglio da fare che organizzare (farsesche) guerre tra bande con gruppi di punk, e poi, da costoro brutalmente martoriato, cerca di rifarsi attaccando briga con due dark che si rivelano poi due Carabinieri in "missione di travestimento mimetico", i quali lo schiaffano in gattabuia. Morituri vos salutant, Davide Scovazzo |