Dead Skeletons - Dead Magick
A. Records Ltd 2011
I Dead Skeletons non sono i nuovi folletti del nord, non sono usciti da una
fiaba. Rappresentano un’altra faccia dell’Islanda. Non raccontano i paesaggi di quella meravigliosa isola, non propongono le atmosfere delicate ed eteree dei Sigur Ros.
I loro brani sono poveri di colori, utilizzano prevalentemente tonalità scure.
Nessun acquarello, nessuna sfumatura, prevale il nero delle rocce vulcaniche,
utilizzato in modo insistente e ossessivo.
Sono visioni di un mondo avverso, tormentato, feroce, violento.
I tre membri del gruppo si arrendono alla desolazione, alla degradazione,
descrivono luoghi impuri, infettati, torbidi; celebrano un dio mortale e la
natura effimera dell’uomo.
‘Come to my world of death, give me a taste of death’ recitano annoiati, o
sconfitti, in Psychodead; ‘death, death, death’ ripetono logorati a fine brano.
Ricordano lontanamente i Loop, tuttavia i Dead Skeletons sono meno distaccati, razionali, controllati, e si concedono qualche sfumatura sonora in più. A dire il vero i riferimenti sono molto più ampi, e l’eccezionalità di questo disco sta essenzialmente, per una volta, nel proporre una visione assolutamente personale del suono di origine, piuttosto che una semplice e accademica rilettura dei classici.
Sono molto scettico quando si parla di recupero del passato. Gruppi di questi
anni che riciclano sonorità di ieri mi sono assolutamente indifferenti, anche
se acclamati come dei fuoriclasse. Questo disco ha il pregio di vivere di vita
propria, pur senza nascondere le sue origini; dichiarate, manifestate,
comprese, assimilate, e infine tradotte in un linguaggio nuovo.
I Dead Skeletons parlano la lingua dei Dead Skeletons, non di altri.
I Dead Skeletons non hanno fretta, impiegano tutto il tempo necessario per
sviluppare i loro brani. Impastano il diverso materiale musicale per creare un
composto che poi usano per tutti i loro brani. Il composto è un prodotto
concepito con saggezza, è il frutto di una lenta assimilazione dei modelli
originali. E’ il composto in sé che costituisce l’eccezionalità di questo
lavoro.
Una nota che esula dalla descrizione del prodotto. Quest’estate ho passato un paio di giorni a Reykjavik, ovunque si trovavano, giustamente, i lavori dei
Sigur Ros e di Bjork; dei Dead Skeletons non c’era traccia, neppure nel piccolo tempio della musica, 12 Tonar. Mi auguro che nel frattempo la situazione sia cambiata. Considerata la musica che propongono i Dead Skeletons non mi aspetto di trovarli negli scaffali dell’aeroporto di Reykjavik o al supermercato, a celebrare l’immagine dell’Islanda. Ma mi piacerebbe gli venisse dato il giusto spazio e il giusto riconoscimento.
Io li considero la rivelazione del 2011.