IANVA
giugno 2010
Uno degli ensemble più interessanti degli ultimi anni è Italiano. Sto parlando degli Ianva, che con una manciata di album ed e.p. hanno conquistato i cuori di centinaia di ascoltatori. Li vedremo dal vivo al Moonlight Festival e scommetto già da ora che la loro performance sarà tra le più seguite ed apprezzate, oltre che tra le più intense... Ma lasciamo parlare direttamente loro...
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benvenuti su Erba Della Strega!
Mercy: “Grazie. Salute a tutti voi”.
sono ormai sette anni che siete in attività. Volete ripercorrere rapidamente la vostra storia per chi non vi conosce?
Mercy: “In verità IANVA è nato come risultante finale di una serie di vicende, alcune delle quali riguardavano la musica solo marginalmente. Tanto è vero che i primi passi del progetto sono coincisi con la ricostruzione da zero anche della mia vita personale. E' stata una bella impresa, credimi. Per comodità diciamo che si è trattato di una sorta di scommessa. Talvolta accade che tutto quanto è stato, nel bene e nel male, centrale nella tua vita, arrivi simultaneamente al capolinea. Puoi scegliere di eclissarti insieme al resto o di puntare tutto su un radicale ripensamento di te stesso, sia sul piano umano che su quello artistico. In quel momento avevo bisogno di un suono che rappresentasse adeguatamente quanto stavo provando. Il rock, in ogni sua forma, suonava inadeguato. Volevo qualcosa che mi permettesse di lavorare sulla parola e sulla mia lingua madre, tanto per incominciare. Qualcosa che costituisse un supporto credibile per veicolare idee e pensiero. Abbastanza passionale da riuscire galvanizzante, ma anche fondamentalmente cupo come il tempo che stiamo vivendo. Infine che ci permettesse di preservare, a modo nostro, alcune peculiarità stilistiche proprie della realtà italiana, fiorenti nelle decadi pre-globali e quasi dimenticate oggi. Un progetto contro l'omologazione dei gusti e dei cervelli. Trovai quasi subito la gente giusta che andò a costituire il primissimo nucleo che, salvo qualche eccezione, è rimasto inalterato a tutt'oggi. Esordimmo da autoprodotti con il primo mini e tali, sostanzialmente, siamo rimasti. Fin da subito fu chiaro che il nostro progetto toccava corde che, comunque se ne pensasse, non lasciavano indifferenti. Poi fu la volta dell'epopea rosa-grigio-verde di 'Disobbedisco!'. In un'era all'insegna del minimal, del cinismo e del giovanilismo ce ne venimmo fuori con un lavoro massimalista, idealistico e stilisticamente innamorato del passato. E, malgrado ciò, avemmo la meglio su parecchi fichetti dell'indie italiano sempre così ossequiosi della voce del Padrone. Prova è che quel disco è ormai considerato un piccolo classico e continua a vendere ancora oggi. Intanto, si cominciò, sia pure in maniera sporadica a uscire live. Ci siamo esibiti poche volte, ma sempre in contesti significativi. Un altro mini ancora, “L'Occidente”, meno interlocutorio di quanto potesse sembrare perché ci diede l'occasione di sperimentare soluzioni che poi tornarono utili nel più recente full-length. Anche quest'ultimo, com'era prevedibile, ha fatto abbastanza discutere. Ma, a quanto pare, ci ha guadagnato ulteriori simpatizzanti, in Italia e, cosa insolita per un progetto così radicalmente italiano, sopratutto all'estero, in particolare in Germania”.
La Ballata Dell'Ardito, Disobbedisco!, L'Occidente, Italia: Ultimo Atto. Si può parlare di quadrilogia o sono lavori a se stanti? Nonostante le similitudini, la voglia di mettersi in gioco è chiaramente più forte album dopo album... Come sono nati questi lavori? Qual'è stata la fiamma che vi ha acceso ed ispirato per la loro realizzazione?
Mercy: “Il primo mini e il successivo 'Disobbedisco!' sono strettamente correlati: le composizioni sono organiche alla storia e, infatti, nelle edizioni più recenti di quest'ultimo anche i pezzi del mini non inclusi nella prima sono entrati in tracklist come bonus. 'L'Occidente' è un episodio a sé, ma, come dicevo, introduce alcuni temi dell'ultima release. Riguardo questa, infine, va detto che, se pur non si tratta di un vero e proprio concept, ossia non vi è una singola vicenda che si snoda attraverso vari brani, di certo chiarifica il concept che sta alla base del progetto stesso. Ossia una sorta di rilettura non ortodossa del '900 italiano. Va anche detto che lo spirito che caratterizza il tutto è quello della narrativa. Gli spunti sociologici, politici, di critica sociale o le notazione a margine di storia del costume, fino a investire anche gli aspetti più foschi, torbidi e misteriosi non meno di quelli grotteschi o farseschi, che pure ci sono, risultano comunque subordinati all'esigenza di raccontare delle storie che siano avvincenti, o almeno ci provino a esserlo. In futuro questa vena dovrebbe manifestarsi con rinnovato vigore. Da questo punto di vista il gruppo mi lascia carta bianca essendo il sottoscritto il responsabile dell'intero impianto narrativo e immaginativo. Anche la scelta di determinati canoni estetici, compreso il linguaggio stesso, risulta in larga parte finalizzata allo scopo di fornire una sorta di intrinseca coerenza rispetto ai temi trattati.
Quanto all'aspetto “ispirazione” di cui mi chiedevi, la risposta rischia di essere più complessa. Diciamo che, in linea di massima, credo poco nella cosiddetta ispirazione e diffido di coloro che affermano di essere colti da essa allo stesso modo in cui uno si prende un raffreddore o un'insolazione. Quando sei molto giovane sei spinto alla creatività da propulsori estremamente differenziati. Talvolta contraddittori, ma sempre molto spontanei e vitali. E' qualcosa che ha a che vedere con la forza vitale stessa, un modo tra i tanti di accedere alle fasi successive. Giunti a una certa età, al contrario, si presuppone che uno le idee o le ha o non le ha. Un proprio bagaglio etico, estetico, temperamentale, culturale dovrebbe averlo accantonato. Quindi, come vedi, hai un'idea, disponi di una riserva di strumenti per comunicarla che ti sono forniti da ciò che hai fatto tuo tra quanto hai apprezzato nel corso di una vita. Il resto è solo serio lavoro e onestà d'intenti. Non vedo davvero altro di rilevante oltre questo”.
in molte recensioni ho visto spuntare a fianco al vostro nome la parola "archeofuturismo"...ma che è? e che c'entra con voi?!
Mercy: “Come si può facilmente notare “Archofuturismo” è un ossimoro. Cioè un concetto che risulta dall'unione di due termini apparentemente inconciliabili. Ma trattandosi, in questo caso, di due termini che hanno a che vedere con il concetto di Tempo, argomento che si presta molto bene alle logiche alternative e al gusto del paradosso, è sensibilmente diverso rispetto all'affermazione, le butto lì, di essersi imbattuti in un muto loquace o di aver fondato un'associazione di liberi schiavi o di aver trascorso le ferie in un luogo che era un paradiso infernale. L'ossimoro è una figura retorica che unisce concetti discordanti, ma funziona sorprendentemente bene in fase di requisitoria in quanto crea un terreno scivoloso sul quale, chi intenda contrapporci, con tutto il loro inevitabile carico di prevedibilità, argomentazioni date per acquisite, si trova in immediata difficoltà. Pasolini, per esempio, era un vero maestro dell'ossimorica e vi ricorreva largamente. Anche D'Annunzio era abilissimo a disinnescare gli attacchi retorici che gli venivano rivolti facendo deflagrare al momento opportuno l'effetto paradosso. Ennio Flaiano dava addirittura saggio di virtuosismo in tal senso. Insomma, pare che l'ossimoro sia uno dei luoghi retorici frequentati dai polemisti di razza. Forse per questo che una dozzina d'anni fa il polemista francese Guillame Faye coniò, in un suo celebre testo avente proprio quel titolo, il termine “Archeofuturismo”. Quanto è contenuto in quel testo, però, non ha un granché a che fare con noi.
Nel nostro caso l'unione dei due termini antitetici riassume e descrive un'attitudine. Che è arcaica per quanto concerne alcuni dei suoi valori guida, il suo guardare ad archetipi sostanzialmente atemporali, il suo gusto per il ripescaggio di materiali artistici dimenticati o giudicati inservibili. Ma è futurista nel suo porsi risolutamente fuori dalle logiche contemporanee e al lavoro in vista di un futuro che rispetto a questa nostra contemporaneità proverà giustamente orrore e vergogna”.
Su di voi sono stati sprecati milioni di aggettivi, Da Neofolk a Wave a neoclassico...Se nel mio archivio mentale vi considerassi "cantautori", vi offendereste?
Mercy: “Ci mancherebbe altro. La trovo una definizione corretta. E' sempre esistito un cantautore, al fondo delle cose che ho fatto. Solo che oggi, c'è maggiore consapevolezza da parte mia e una band che asseconda questa vena. Certe volte anche reprimendo istinti molto più orientati al rock puro. Comunque anche l'idea neofolk, quella neoclassica, la psichedelia, la wave, le soundtrack entrano nell'alchimia variamente modulate a seconda delle circostanze. Poi, diciamocelo, la dimensione cantautorale la trovo enormemente più consona se, nel frattempo, sei pure invecchiato. Qualcuno potrà trovare tra Nick Cave e gli Alien Sex Fiend, a parità di esordi negli ambienti di origine, mitici e coerenti i secondi e un rinnegato il primo. Ma resta il fatto che il decorso da artista e da musicista serio lo ha fatto il vecchio Nick. Mi sono sempre chiesto cosa avrebbe fatto Ian Curtis se le cose non fossero andate come sono andate. Sono abbastanza certo che non sarebbe mai rifinito a fare italo-disco riciclata. E' evidente, ascoltandolo, che in lui covava un grande chansonnier, di stampo anche parecchio tradizionale, che aspettava gli anni della maturità per poter venire alla luce: peccato!”
Stefania, se non sbaglio hai cominciato a cantare nei Wagooba, una band molto diversa dagli Ianva...come mai questo cambiamento radicale?
Stefania: “Nessun cambiamento radicale, a dire il vero. I Wagooba sono stati semplicemente una delle tante band in cui ho militato, l'unica ad aver beneficiato di un'uscita discografica (a parte IANVA), e un divertissement in cui davo sfogo al mio amore per le atmosfere anni '70 e a certo sound sporco di derivazione americana. In realtà ho iniziato a metà anni '80 in un paio di formazioni dark, per poi passare a un genere non troppo lontano da quello attuale con un'altra band ancora (notare: tutte all'insegna del cantato in italiano) e, nel contempo, a esibirmi nel circuito dei gay club con un repertorio improntato sui classici del cabaret tedesco, del cantautorato francese e dei brani di Signore quali Mina, Milva, etc... Con IANVA è stato come tornare a fare quello che avevo sempre fatto, in fin dei conti. Un bel ritorno a casa, c'è da dire...”
Mercy, ricordo con piacere quando un amico innamorato del Prog mi passò entisiasta un album dei Malombra. Che ti ricordi di quel periodo? Quanto è rimasto di "quel" Mercy negli Ianva?
Mercy: “Domanda difficile: come si fa a quantificare? Di certo l'uomo è l'autore di oggi sono debitori di quello di ieri. Anche e sopratutto rispetto agli errori e alle ingenuità di cui quella fase è costellata. Da essi non cesso di trarre riflessioni e conclusioni che, a più riprese, sono tornate assai utili all'attuale progetto. D'altro canto quel periodo è situato letteralmente in un altro mondo. Non perché io mi senta cambiato più di tanto anche se, lo affermo serenamente, credo di essere oggi un soggetto sensibilmente migliore, sia umanamente che artisticamente, ma perché il mondo è davvero capovolto rispetto ad allora. E' difficile, quindi, arrischiare comparazioni. Di certo, se riascolto i dischi di allora mi sento imbarazzato da quanto risultano carenti sul piano della lavorazione del prodotto in tutte le sue fasi. Per non parlare poi di certe mie prestazioni vocali davvero inudibili. Tuttavia resto ogni volta sconcertato dall'enormità dell'insieme delle idee, degli spunti, delle trovate messe in campo. Con le idee di una sola nostra composizione dell'epoca gruppi osannati di oggi potrebbero trarne dieci dischi. Eppure tutto era spontaneo. Sin troppo. Un po' selvaggio. Era un periodo di stati d'animo molto estremi, ricco di suggestioni visionarie. Peccato che la media degli ascoltatori del tempo fosse applicata su cose di una grettezza e di una piccineria d'immaginario sconcertanti. Per un periodo ci si è anche voluti molto bene. Allora era possibile anche questo. Poi c'è stato l'episodio di 'Dissolution Age' che era, sostanzialmente, il lavoro di una nuova band con un vecchio nome. Tornassi indietro non accetterei mai di attribuirlo a Malombra. Anche quello è un disco che, a riascoltarlo, mi fa rabbia. Ha suoni migliori, ma ci sono errori di arrangiamento madornali, con certi inserti power che mi danno brividi di raccapriccio. Il gusto, in generale, latitava. E tuttavia credo che contenesse pezzi sensazionali. Peccato non ci fosse nessuno al nostro fianco in grado di aiutarci a costruire e promuovere un lavoro competitivo su scala europea. Ho ben visto, ai festival in Germania, cosa sono poi, in effetti, certi progetti per i quali la gente impazzisce. Non potevo fare a meno di pensare che certe nostre cose di allora, in quegli ambiti, sarebbero in grado di tener testa a ogni concorrenza a tutt'oggi. Ma sarebbero occorse consapevolezza, competenze, conoscenza dei meccanismi promozionali, scelte estetiche ed espressive meno raffazzonate... Bada bene che queste sono critiche che rivolgo anche e sopratutto a me stesso”.
E "Il Segno Del Comando"? cosa portò alla tua uscita dalla band? Che ricordi hai di quell'esperienza?
Mercy: “Senza offesa, ma, così posta, la domanda avvalla uno scenario del tutto discordante dalla realtà dei fatti. Il SDC non fu mai una band vera e propria, ma, prima di tutto una suggestione, un'idea, una sorta di incursione temporale a ritroso in un immaginario che si “respirava” negli anni '70, in Italia. Tradotto in termini pratici era un progetto che era stato concepito, pensato e messo in atto da due sole persone: Diego Banchero e il sottoscritto. In pratica noi si scriveva la quasi totalità del materiale; a me toccava, come sempre del resto, l'esclusiva sul plot, sui testi e sulle linee vocali a Diego la maggiore responsabilità sull'architravatura musicale. Gli arrangiamenti erano concepiti “a quattro mani”. Poi, solo dopo, ci si attivava per mettere insieme una formazione più o meno credibile da portare in studio. La lavorazione era molto spartana. Il primo disco, in particolare, fu il frutto di esecuzioni in presa diretta, in odore di jam session e ad alta gradazione alcolica. Questa è una delle ragioni per le quali il SDC non è mai uscito live. In pratica, fuori dallo studio, non esisteva. Ma, nello stesso tempo, era più reale di centomila band in carne ed ossa avendo esso a che fare con “lo Spirito”. Di fatto, dunque, io non sono uscito da una band. C'era un progetto con due titolari, ma, virtualmente, aperto alle evoluzioni più imprevedibili. A un dato momento ho percepito il progetto superato dalle circostanze, ma era implicito che sarebbe rimasto in campo un solo detentore del marchio e che questi avrebbe potuto dare un nuovo segnale nei tempi e nei modi ritenuti opportuni”.
Argento ed Azoth hanno dei trascorsi nella band black metal Spite Extreme Wing. Ci credete se vi dico che, sotto le nuove impalcature sonore, riesco ancora ad avvertire quei "segni"? Secondo voi perchè certi generi vengono bistrattati dalla massa? Intendo anche da persone che amano alla follia gli ianva: parlargli di qualsiasi forma di metal a volte è peggio che bestemmiare in chiesa...
Mercy: “Ecco una domanda che, in realtà, apre la porta su molteplici questioni. Prima di vederle in dettaglio rispondo al primo quesito: eccome se ci credo che si sente! Un pezzo come 'Di Nuovo In Armi' altro non è, tecnicamente parlando, che una sorta di black metal acustico. Ma c'è una 'Ballata Dell'Ardito' che riprende la struttura delle cantate barocche, “Galleria Delle Grazie” che è acid folk, certi pezzi cantati da Stefania attingono al repertorio tra le due guerre o a quello dell'età aurea della musica leggera italiana... La musica è libertà, non mettersi al servizio di qualcuno o di qualcosa.
Poi una puntualizzazione: Azoth è ancora in formazione, ma Argento ha lasciato già da qualche anno per via della carriera universitaria. In piena armonia e senza dissidi. Il suo ruolo è stato rilevato da Fabio Carfagna che ha trascorsi metallici non meno estremi, quindi, come vedi, non c'è alcuna controindicazione.
Entrando nel dettaglio, parli di musica bistrattata dalle masse, ma il metal, in ogni sua forma, anche le più estreme come il black, è comunque una musica di gran lunga più “di massa” rispetto a quella di IANVA e anche della quasi totalità di alcuni gruppi trattati su EDS. Questo non lo dico io, ma i numeri delle vendite. L'ultimo Burzum ha venduto, fino a oggi, circa settantamila copie. Un'inezia rispetto alle vendite degli anni '60, '70 e '80, ma comunque più del doppio rispetto a gente che in Italia è in televisione una sera si e l'altra anche e ha dischi d'oro appesi in salotto. Gli stessi S.E.W. hanno realizzato vendite che, in campo dark/wave/goth frutterebbero un contratto immediato con una sub-major tedesca. Questi sono dati. Poi, si può decidere che i dati oggettivi non contano, ma contano le chiacchiere da forum. E' una questione di scelta.
La verità, secondo me, è molto semplice. Quando si è ragazzi, di solito, si richiede alla musica un valore aggiunto che finisce per soppiantare il senso finale della musica stessa. Questo valore aggiunto è l'identificazione di gruppo. Così capita che anche il più derivativo e interlocutorio dei progetti, ma che è facilmente identificabile come patrimonio del mio branco, sia considerato più degno del capolavoro oggettivo, ma che ha l'imperdonabile pecca di essere identificativo di un altro branco. Di avere il puzzo di un'altra tana. Poi, grazie al cielo si cresce. E se decidi di fare musica, cominci a conoscerla dal di dentro, comprendi il funzionamento del “meccanismo musica” e allora certi steccati appaiono per ciò che sono: ridicole e puerili auto-limitazioni. Oltretutto il rischio figuraccia è sempre dietro l'angolo. C'erano, tempo fa, alcuni dark, palesemente imberbi, che incitavano alla “pulizia etnica” verso tutto ciò che, a loro dire, contaminava, la purezza gotica.
Come far loro capire che, proprio i loro beniamini, si erano formati su cose che avrebbero mandato al rogo? C'era uno che chiedeva tutto incazzato cosa c'entravano David Bowie o i Velvet Underground con il dark! Un altro che citava come esempio di anti-metal Sopor Aeternus. Che ha copiato pari pari 'Under The Sun' dei Black Sabbath, 'Night Of The Vampire' di Rocky Ericson, 'The Devil's Tower' degli Angelwitch più tutta un'altra serie di titoli che ora non sto a elencare. Peter Hook, a chi gli fece notare che la parte di basso di 'Transmission' altro non è che quella di 'Paranoid' rovesciata, pare si sia stretto nelle spalle ridacchiando. Rozz Williams, all'epoca delle sue prime interviste, soleva affermare che i primi dischi dei Christian Death erano collage di riff dei Sabbath suonati con piglio punk. Cosa che, per altro, chiunque sia dotato di orecchie può sentire. 'Love Will Tear Us Apart' è ricalcata su 'I Want The Sun To Shine' degli Amon Duul 2 che non saranno stati metal, ma che parecchi nerovestiti getterebbero comunque nel bidone della spazzatura. Questi sono solo pochi esempi, ma potrebbero essere centinaia. Per ovvie ragioni: quello che viene dopo è sempre, in qualche misura, conseguente da quanto viene prima. Nella musica non s'inventa dal nulla, ma si ricrea continuamente rimanipolando i presupposti che ci hanno portato fino al punto nel quale ci troviamo. So bene che certi discorsi lasciano il tempo che trovano e che ci sarà sempre gente per la quale imbarazzanti scemenze dal pedigree “gotico” saranno comunque pur sempre preferibili a 'Led Zeppelin 4' o a 'Secret Treaties' dei B.O.C. . Contenti loro...”
Ho sempre pensato che la vostra band sia fatta per performance in teatri o spazi raccolti. Eppure a Luglio vi vedremo sul palco del Moonlight Festival. Come affronterete questa situazione? Avete in cantiere qualcosa di particolare per quell'esibizione?
Mercy: “L'unica condizione che, di regola, poniamo è che ci sia un palco abbastanza grande da contenerci tutti e un impianto in grado di supportare un alto numero di strumentisti che suonano in acustico. Per il resto non c'è alcun problema. Suoniamo indifferentemente in club o in spazi allargati senza che la performance ne risenta”.
So che siete stufi di domande simili, ma probabilmente ogni risposta può essere un tassello del mosaico in più al fine di essere chiari e spazzare via le solite dicerie: a causa dei concept dei vostri album, molte volte siete stati bollati come fascisti, pur dichiarandovi apolitici. Che rispondete a riguarso? E perchè trattare tematiche così "rischiose"?
Mercy: “Perché qualcuno doveva pur farlo, prima o poi. A forza di non voler correre rischi guarda come è ridotto questo paese! A che punto sta l'intelligenza? Le competenze? Il senso civico e la coscienza civile? L'innato gusto estetico delle nostre genti che, a un dato momento, aveva finito persino per ridisegnare il paesaggio? La modulazione esatta tra diritti e doveri che sta alla base di ogni civiltà degna di tal nome? Cosa produciamo a parte scorie tossiche, volgarità, farabutti, mignotte, falsa cultura e ancora più falsi buoni sentimenti?
Poi, riguardo alle accuse di fascismo, lasciami dire una cosa. In questo paese, tale accusa, a lungo andare, finirà per nobilitare persino il male che voleva esorcizzare. E sai perché? Perché è stata impugnata da gente via via sempre peggiore, per scopi sempre più bassi e, in genere, per promuovere censure, emarginare soggetti pensanti, fare paratia rispetto a ogni riflessione critica. O per rivendicare un ruolo di militanza attiva, una pretesa di pubblica utilità che si esplica in una sorta di fantomatica “vigilanza” rispetto a un pericolo inesistente. Con il risultato che, anche grazie a loro, il Male di oggi, che tutti dovrebbero ormai essere in grado di vedere in ogni suo dettaglio, continua a restare mimetico. A risultare incomprensibile ai più e, comunque, sottostimato. Per quanto mi riguarda sono certo che stiamo andando incontro a uno dei più gravi pericoli mai corsi dall'umanità da che cammina sulla Terra. E che i tempi sono quasi esauriti. In tali frangenti dovermi anche difendere da accuse di fascismo mi fa sentire ridicolo. Se certa gente convive così bene con il ridicolo che se lo tenga stretto. E magari, nel frattempo, impari a leggere l'italiano. Chissà che poi riuscirà a capire finalmente i nostri testi. Ammesso che tutto ciò abbia una qualche importanza, cosa sulla quale io, francamente, avanzo più d'una riserva”.
Nessuna speranza di vedere i vostri lavori su vinile? A mio avviso, è il formato che più vi si addice...
Mercy: “E' un supporto fascinoso. Costa parecchio stampare e tanta gente, ormai, non ha più in casa neppure il lettore cd, altro che giradischi... Finanziariamente, un'edizione in vinile è un passo ad alto rischio. Ma non escludo che, in futuro, faremo questa pazzia. Dopotutto, per me, sarebbe come un ritorno a casa dato che sono abbastanza vecchio da aver esordito all'epoca del vinile”.
Progetti futuri?
Mercy: “Altroché. E' in progettazione l'operazione più vasta e difficile con cui mi sia mai confrontato. Ma siccome l'esito non è ancora certo preferisco non anticipare nulla. Mi piace promettere solo quando sono assolutamente certo di poter mantenere”.
le ultime sono per voi!
Mercy: “Di solito chiudo solo con i saluti e i ringraziamenti di rito. Di spazio mi pare di prenderne pure troppo. Questa volta, tuttavia, vorrei fare un'eccezione. In pratica ci tengo a dire un'ultima cosa. Per ora non abbiamo alcuna intenzione di mollare il colpo, ma è dura. Sappiamo che molti ci trovano spocchiosi, ma a nessuno passa per la testa che il nostro atteggiamento potrebbe essere una sana reazione rispetto a un ambiente come quello italiano dove a sottostimarti e svilire sistematicamente tutto ciò che fai ci pensano già gli altri. Quando abbiamo iniziato, credimi, nessuno, dicasi nessuno, era dalla nostra parte. E per di più, almeno sulla carta, il nostro progetto era un puro concentrato di tutto ciò che non devi fare se vuoi piacere alla gente. Almeno secondo i dettami di certi “esperti” talmente addentro alla realtà effettuale che, ancora oggi, e mi prendo la responsabilità di quanto vado dicendo, c'è tutto un ambientino “alternativo” italiota che sta cercando con ogni mezzo di impedire che noi si guadagni ulteriore attenzione. Fatica sprecata, tra parentesi, dato che per ogni spazio che riescono a chiuderci in casa se ne apre uno all'estero. Detto ciò un grazie a te, allo staff di EDS e, naturalmente, ai vostri lettori”.